Partito di Alternativa Comunista

8 marzo: rilanciare la mobilitazione! di Fabiana Stefanoni

8 marzo: rilanciare la mobilitazione!

 

 

 

di Fabiana Stefanoni

 

Da alcuni anni l’8 marzo non è più, in Italia, solo un momento rituale. Precisamente da quando sono iniziate anche qui le partecipate mobilitazioni delle donne – sull’onda delle mobilitazioni in America Latina, negli Stati Uniti, in Spagna – l’8 marzo è tornato al suo significato originario: una giornata di sciopero e di lotta.

 

Dall’8 marzo 1917 ad oggi

Quando celebrano l’8 marzo, i rappresentanti delle istituzioni capitalistiche dimenticano di raccontare la vera origine di questa giornata. L’8 marzo è una data del movimento operaio: è la giornata mondiale proposta dalle donne socialiste per celebrare l’avvio della rivoluzione nel 1917, un processo che culminerà, nel novembre 1917, con la presa del potere da parte dei bolscevichi (1).
Le donne delle classi sociali più ricche e le donne che hanno deciso di collaborare attivamente con questo sistema economico e sociale (pensiamo alle ministre, alle donne premier e alle rappresentanti dell’Ue) non hanno il diritto di richiamarsi a quella gloriosa lotta. Le donne che l’8 marzo 1917 iniziarono lo sciopero a Pietrogrado (era il 23 febbraio secondo il calendario giuliano in vigore allora in Russia) erano operaie che conducevano, nelle fabbriche e nelle case, una vita di fatiche e di stenti. Gli uomini erano al fronte e loro erano state chiamate al lavoro con paghe infime. Volevano la fine della guerra, rivendicando il pane e la pace. Per questo entrarono in sciopero e riempirono le piazze. 
Oggi, dopo più di cent’anni, le donne della classe lavoratrice hanno molti motivi per scioperare e protestare l’8 marzo. La condizione delle donne nei luoghi di lavoro è drammaticamente peggiorata e questo ricade, soprattutto, sulle nuove generazioni. Le percentuali altissime di disoccupazione giovanile, i contratti ultra-precari, la diffusione del lavoro nero rendono le donne sempre più ricattabili nei luoghi di lavoro: per non perdere il misero salario che serve loro per sopravvivere sono costrette spesso ad accettare violenze fisiche e psicologiche. L’aumento del costo degli affitti e dei mutui rende l’indipendenza economica un miraggio per le donne proletarie: tante sono costrette a vivere sotto lo stesso tetto con uomini violenti e aggressivi, rischiando ogni giorno la vita. L’aumento drammatico dei femminicidi è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più ampio.
Le oceaniche manifestazioni del novembre scorso, con milioni e milioni di persone in piazza a Roma il 25 novembre, sono state un momento importantissimo per rilanciare la lotta contro il maschilismo della nostra società: un maschilismo che diventa sempre più violento quanto più si approfondisce la crisi economica e sociale del sistema capitalistico. Il 25 novembre ha visto scendere in piazza tantissime donne lavoratrici, disoccupate, studentesse.
Ma non è tutto oro ciò che luccica: le straordinarie mobilitazioni dell’8 marzo, se hanno dimostrato le grandi potenzialità di un movimento, hanno messo a nudo anche i limiti delle sue direzioni politiche.

 

Un grande potenziale disperso

Le enormi manifestazioni che hanno attraversato le città a novembre, dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, non sono rimaste senza effetti: il tema della violenza di genere è diventato argomento di dibattito quotidiano nei luoghi di lavoro e nelle scuole. Oggi c’è più consapevolezza della violenza quotidiana che le donne subiscono. Ma un po’ di consapevolezza in più è davvero un misero bottino rispetto alle potenzialità di quel movimento. Questo si spiega, a nostro avviso, con la presenza nel movimento femminista, soprattutto nella sua direzione, di settori borghesi e soggetti politici riformisti che tentano di traghettare la lotta nell’alveo delle compatibilità borghesi. È evidente, infatti, che, come avviene purtroppo anche nel movimento operaio (per l’azione delle burocrazie sindacali), i movimenti di grande respiro, come quello del 25 novembre 2023, spaventano chi non ha intenzione di mettere in discussione gli attuali rapporti di proprietà e sociali.
Nessun governo di nessun colore ha migliorato le condizioni delle donne negli ultimi anni, anzi, abbiamo riscontrato un continuo peggioramento. Finché l’economia e la società saranno organizzate in funzione del profitto di pochi ricchi miliardari (uomini e donne) che controllano le sorti del mondo, non ci sarà alcuna possibilità di reale miglioramento per le donne proletarie. Finché resteremo nel capitalismo, la stragrande maggioranza delle giovani donne dovrà rassegnarsi a un futuro di abusi, ricatti, violenze, povertà, precarietà, frustrazione.
Per cambiare realmente le cose bisognerebbe cambiare gli attuali rapporti di produzione: creare centri antiviolenza pubblici in ogni quartiere; espropriare e nazionalizzare le grandi fabbriche e le banche; investire le risorse così ottenute nell’edilizia popolare, in mense, asili, scuole e lavanderie pubbliche; avviare un piano di lavori pubblici sotto il controllo dello Stato che possa garantire lavori e stipendi dignitosi alle donne ora disoccupate. Solo, cioè, l’avvio di un’economia socialista, che ponga al centro il contrasto all’oppressione di genere, potrà davvero garantire un futuro dignitoso a tutte le donne.
Ma per realizzare questi obiettivi bisogna, anzitutto, riconoscere chi sono i nostri alleati e chi sono, invece, i nostri nemici. Il concetto di «sorellanza», usato da molte femministe, è decisamente fuorviante: non esiste nessuna «sorellanza» possibile tra la donna operaia e l’azionista che la sfrutta, tra la stagista sottopagata e un’amministratrice delegata, tra una donna delle pulizie e una ministra al governo. Viceversa, nostro principale alleato nella lotta contro l’oppressione di genere deve essere il movimento operaio, che è fatto di uomini, di donne, di trans, di nere, di immigrati e immigrate, di persone lgbt+: solo se la classe operaia andrà al potere potremo creare le condizioni economiche e sociali che servono per contrastare, coi fatti e non solo con le parole, l’oppressione di genere, così come tutte le altre oppressioni. Qui sta l’importanza dello sciopero dell’8 marzo.

 

Scioperiamo davvero!

Lo sciopero, se correttamente inteso, cioè se concepito come blocco della produzione e distribuzione di merci, è un momento importante della lotta di classe: è il momento in cui operaie e operai – di qualsiasi colore, provenienza, sesso, gusto sessuale – percepiscono chiaramente di essere parte della stessa classe, in contrapposizione a un’altra classe, quella dei padroni (e dei loro alleati). In Italia c’è urgente bisogno di rilanciare un’azione di sciopero degna di questo nome: un’azione unitaria prolungata, che rovesci gli attuali rapporti di forza, a vantaggio dei lavoratori e delle lavoratrici. Per smettere di subire, per cercare di respingere i pesanti attacchi in corso – pensiamo ad esempio ai decreti repressivi del governo Meloni, che hanno inasprito i già pessimi decreti sicurezza di Salvini – occorre rilanciare un’azione di sciopero unitario e nazionale, sull’esempio delle recenti mobilitazioni francesi.
L’8 marzo può essere un’importante occasione per unificare il movimento operaio con il movimento che lotta contro le discriminazioni di genere: solo se riusciremo a porre la mobilitazione delle donne sotto la guida della classe operaia, emarginando gli elementi borghesi e riformisti, potremo davvero cambiare le cose a vantaggio della maggioranza delle donne, cioè le donne lavoratrici, disoccupate, tutte quelle che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese.
Rilanciamo, quindi, con convinzione l’appello ai sindacati a proclamare sciopero l’8 marzo, ma con una precisazione: non basta una semplice data sul calendario. Gli scioperi vanno organizzati davvero nei luoghi di lavoro. Pensiamo che questo 8 marzo sia l’occasione giusta per innescare la lotta di classe. Soprattutto, pensiamo che questo 8 marzo, come già il 25 novembre, debba essere dedicato principalmente alle donne che oggi, nel mondo, subiscono più oppressioni contemporaneamente, di genere, razziali, xenofobe e nazionali: le donne che sono in prima linea nella Resistenza palestinese contro Israele (e il suo alleato statunitense) e in quella ucraina contro l’imperialismo russo.

 

Note

  1. https://www.partitodialternativacomunista.org/video/la-vera-origine-dell-8-marzo-operaia-e-rivoluzionaria

 

 

 

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